Una ragazza mi ha chiesto, con voce timida ma decisa: «Posso eliminare l’olio extravergine e usare solo semini e frutta secca?» È una domanda che ricorre spesso nei consulenze nutrizionali: sembra pratica e moderna, ma nasconde valutazioni biologiche concrete. Chi mi interpella vuole fare una scelta sana, non un esperimento ideologico, e questa richiesta porta subito al centro del problema la differenza tra fonti di grasso e il loro effetto sul corpo.
Che tipi di grassi contano e perché non sono tutti uguali
Per rispondere bisogna partire da una premessa semplice: esistono grassi saturi, monoinsaturi e polinsaturi, e ciascuno agisce in modo diverso sull’organismo. Tra i polinsaturi spiccano gli omega‑3 e gli omega‑6, definiti essenziali perché il corpo non li sintetizza. Questo non è un dettaglio teorico: è la base dell’infiammazione, dell’equilibrio ormonale e delle risposte metaboliche.

Per anni la semplificazione ha dominato: i saturi erano “cattivi”, i monoinsaturi “buoni” e i polinsaturi una panacea. Oggi sappiamo che la realtà è più sfumata. Alcuni grassi saturi a lunga catena presenti in prodotti come l’olio di palma sono associati a rischi cardiovascolari, mentre altri saturi a catena breve possono favorire la salute intestinale grazie all’acido butirrico. Allo stesso tempo, non è solo la quantità di omega a contare, ma il loro rapporto reciproco: troppi omega‑6 rispetto agli omega‑3 possono promuovere uno stato pro‑infiammatorio.
Un dettaglio che molti sottovalutano: la demonizzazione storica dell’olio ha spinto a cercare alternative senza valutare il profilo lipidico complessivo. Chi legge le etichette lo nota facilmente, ma la scelta responsabile richiede di guardare al bilancio tra le classi di acidi grassi, non alla sola presenza di “grassi vegetali”.
Perché sostituire l’olio con semini può avere conseguenze
Analizzando la composizione di olio extravergine, frutta secca e semi, emergono differenze importanti. L’olio di oliva è ricco di monoinsaturi e offre un rapporto omega‑6/omega‑3 più equilibrato rispetto a molti semi (girasole, sesamo, zucca) che apportano una quota elevata di omega‑6. Se si rimuove sistematicamente l’olio dalla dieta a favore di semini, si crea un’impronta lipidica quotidiana con pochi monoinsaturi e un eccesso di omega‑6.
Questo squilibrio non è un problema teorico: può aggravare condizioni caratterizzate da infiammazione cronica, come colon irritabile, dislipidemia, sovrappeso o malattie infiammatorie intestinali. Un altro aspetto che sfugge a molti è l’impatto su squilibri ormonali: donne con ovaio policistico o dominanza estrogenica possono non trarre benefici da un’alimentazione ricca di omega‑6.
Il rapporto ideale tra omega‑6 e omega‑3 nell’alimentazione complessiva è generalmente compreso tra 1 e 3. Quando supera valori maggiori, la soluzione pratica è ridurre le fonti ricche di omega‑6 e aumentare quelle di omega‑3 (per esempio pesce pescato in mare). Un fenomeno che in molti notano nelle consulenze è la tendenza a sostituire l’olio per ragioni estetiche o abitudinali: in Italia questa pratica è diffusa soprattutto tra chi vuole contenere le calorie senza considerare il profilo lipidico.
Indicazioni pratiche: se siete normopeso, l’olio extravergine è una scelta consigliata, soprattutto a crudo; la frutta secca resta preziosa ma va dosata (circa 15–30 g al giorno). Se l’obiettivo è perdere peso, non bisogna eliminare i grassi: molte diete sane includono almeno 3–4 cucchiai di olio extravergine al giorno più una modesta quantità di frutta secca. L’equilibrio tra fonti rimane la chiave, e questo è un aspetto che molti italiani stanno già osservando nelle proprie abitudini alimentari quotidiane.
