Un nucleo familiare davanti al desk di un istituto privato: tra moduli da compilare, ricevute e richieste di Isee, la decisione su dove mandare un figlio pesa sul bilancio domestico. In quartieri di città e in piccoli centri la domanda è sempre la stessa: quanto può alleggerire la spesa uno stanziamento pubblico? La proposta di introdurre un voucher scuole paritarie mette sul tavolo cifre e limiti che molte famiglie stanno osservando con attenzione.
Il meccanismo e chi può beneficiarne
La norma proposta prevede un contributo fino a 1.500 euro per ogni figlio iscritto alle scuole secondarie di primo o secondo grado paritarie. L’idea è stata depositata da più forze politiche, con firme note come quelle di Claudio Lotito e di Mariastella Gelmini, e mira a sostenere le famiglie con Isee sotto i 30mila euro. Secondo le stime presentate, la misura necessiterebbe di almeno 20 milioni di euro di stanziamento statale per cominciare a funzionare su scala nazionale. Le stesse proposte sottolineano che il bonus sarebbe cumulabile con incentivi già erogati da regioni o comuni, arrivando in alcuni casi a un sostegno complessivo di 5.000 euro per nucleo.

Chi vive in città lo nota ogni giorno: le differenze territoriali contano. Un dettaglio che molti sottovalutano è la presenza di misure regionali già attive, diverse tra il Nord e il Sud, che possono integrare o sovrapporsi al voucher statale. Le proposte in discussione riprendono in parte iniziative dello scorso anno, quando era stato ipotizzato un tetto Isee più alto; il confronto politico verte anche su priorità di bilancio e modalità di finanziamento. Per le famiglie che considerano la scuola paritaria, il parametro Isee e la cumulabilità con altri aiuti diventano così variabili decisivi nella scelta finale.
Il dibattito costituzionale e l’impatto dei costi
Non manca lo scontro sul piano costituzionale: avversari della misura affermano che un voucher per le paritarie può incidere sul dettato dell’articolo 33, che tutela la libertà di insegnamento e riconosce il diritto di enti e privati di istituire scuole. Secondo questi osservatori, lo Stato deve garantire agli alunni un trattamento equipollente con le scuole statali; per altri, invece, il contributo rappresenta uno strumento di equità per famiglie con redditi più bassi. Il confronto riguarda non solo la legittimità, ma anche l’efficacia pratica del sostegno.
Per valutare l’impatto reale è utile guardare ai numeri delle rette. L’accesso alle paritarie comporta spesso una tassa di ammissione (dai 150 ai 250 euro) e una tassa di registrazione iniziale che può oscillare tra 1.000 e 3.000 euro. Le rette annuali variano con il grado d’istruzione: la scuola dell’infanzia può costare dai 3.000 agli 8.000 euro, le scuole primarie e le medie seguono fasce simili, mentre le superiori private si collocano generalmente tra 4.000 e 10.000 euro l’anno, con istituti internazionali molto oltre questi livelli. Un aspetto che sfugge a chi vive in città è quanto questi oneri possano pesare sui bilanci familiari in aree con costi di vita differenti.
La proposta, pertanto, apre due letture: da un lato un sostegno concreto per contenere una parte delle spese scolastiche; dall’altro un nodo politico e giuridico che richiede scelte di definizione dei criteri e di copertura finanziaria. Per molte famiglie la questione resta pratica: restare con una retta intera, ottenere un contributo parziale o usufruire di aiuti regionali che compensino il resto. È una scelta che in diverse città italiane pesa sulle decisioni di iscrizione e sulle strategie delle scuole stesse.
